Lo chef Antonino Cannavacciuolo debutta in chiaro con la nuova edizione di Cucine da Incubo

Lo chef Antonino Cannavacciuolo debutta in chiaro con la nuova edizione di Cucine da Incubo

«Il ristorante perfetto? Oltre al buon cibo ci deve essere energia positiva».

Lo chef Antonino Cannavacciuolo debutta in chiaro con la nuova edizione di Cucine da Incubo

 

Antonino Cannavacciuolo, 47 anni e 7 stelle Michelin, mentre fa il giudice di MasterChef sbarca anche in chiaro per la prima volta su TV8 (il 13 gennaio) con la nuova (ottava) edizione di Cucine da incubo, uno dei migliori cooking show in onda negli ultimi anni, secondo me. 

Sei nuove puntate nelle quali si adopera per rimettere in sesto una terrificante serie di ristoranti sul punto di chiudere, dalla provincia di Como alla periferia di Roma.

Qui, vi ripropongo questa intervista.

 

Antonino, prima domanda d’obbligo: sei davvero “cattivo” come ti fanno sembrare in tv?

(Ride) «Solo quando si offende la mia professione. Normalmente sono allegro e scherzo con tutti, ma se mi pasticciate in cucina divento una belva».

Cosa ti infastidisce di più?

«La mancanza di puntualità. A villa Crespi, il mio ristorante, arrivo sempre per primo per capire se qualcuno ritarda. E chi lo fa, ha vita corta».

Nelle varie edizioni di Cucine da incubo si è visto di tutto: sporcizia, cibi scaduti, chef incapaci. Sono davvero così i ristoranti italiani?

«Purtroppo spesso sì. La gente si meraviglia, ma io quando ho cominciato il programma sapevo a che cosa sarei andato incontro. Perché cucinare non è uno scherzo, e quando ci si improvvisa, si vede».

Noi consumatori come possiamo capire al volo se il posto in cui siamo entrati è buono?

«Dalla pulizia. Vanno bene anche le tovaglie di carta, ma se c’è in giro uno chef sudato o un cameriere col grembiule sporco, meglio scappare». 

La tua “ricetta” per il ristorante perfetto?

«Ingredienti di qualità e un menù ben studiato, fatto di pochi piatti e uno “special” del giorno. Pulizia rigorosa. E poi energia positiva, personale sorridente. Ci sono posti in cui quando entri senti la tensione che si taglia col coltello: come fai a goderti il cibo»? 

In Cucine da incubo in effetti è il tuo lavoro sulla motivazione dello staff che fa la differenzia con gli altri cooking show.

«È tutta farina del mio sacco: senza quel lavoro lì, il programma non ha senso per me. Pensare che all’inizio gli autori volevano uno chef che gridasse e sbattesse i piatti, perché lo show era stato lanciato da Gordon Ramsey. Io però mi sono imposto: alzare la voce mi viene facile, ma se dico che il piatto fa schifo e poi non ti motivo a fare meglio, a che cosa serve? Ramsay si incazzava di più? Ok, lui i suoi però li faceva scappare dalla cucina, io invece voglio tenerceli dentro».

Oggi gli chef sono diventati “maestri”, contano più degli intellettuali.

«Finalmente qualcuno si è accorto di noi. D’altra parte, è a tavola che si sviluppa tutta la vita sociale e si fanno i grandi affari».

 

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