Flashdance compie quarant’anni: vi ripropongo la mia intervista alla protagonista Jennifer Beals

Flashdance compie quarant’anni: vi ripropongo la mia intervista alla protagonista Jennifer Beals

Flashdance compie quarant’anni: vi ripropongo la mia intervista alla protagonista Jennifer Beals

 

In questi giorni si sta parlando molto del quarantesimo anniversario dall’uscita di Flashdance, il film firmato da Adrian Lyne che nel 1983 che fece ballare un’intera generazione (ha aperto l’ultima edizione della Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro) – col quale il regista inaugurava una serie di grandi successi: 9 settimane e ½ (1986), Attrazione fatale (1987) e Proposta indecente(1993).

Qui vi ripropongo un’intervista a Jennifer Beals, interprete dell’aspirante ballerina Alex.  

Gliela feci nel 2020 in occasione del debutto di Generation Q – “Q” sta per “queer” (la trovate nella Sky Box) – il sequel della serie The L Word, della quale la Beals era stata protagonista per 6 stagioni (dal 2004 al 2009) nei panni della gallerista omosessuale Bette Porter. All’epoca la serie aveva sdoganato il mondo dell’omosessualità al femminile, raccontando la storia di una comunità di lesbiche a Los Angeles.

La Beals mi aveva risposto al telefono dal Canada dove si trovava in quarantena (erano i tempi dei lock down mondiali), la connessione era molto disturbata e la cosa l’aveva seccata parecchio, per cui non ne conservo un ricordo idilliaco.

Tuttavia, ecco qui:

 

«Nel 2004 The L Word ha rappresentato una incredibile sfida al mondo eterocentrico al quale eravamo abituate» mi raccontava Beals.«Affezionandosi alle sue protagoniste, la gente ha avuto modo di considerare punti di vista differenti, e persino chi l’ha criticata non ha potuto sconfessare quell’intento». Quando accettò il ruolo non aveva idea dell’impatto che la serie avrebbe avuto. Anzi, si stava preparando studiando arte contemporanea, perché Bette era per l’appunto un’esperta di quel settore. Poi un giorno, in un ristorante, suo marito si sporse sul tavolo per darle un bacio, facendole improvvisamente realizzare che se fossero stati una coppia gay l’effetto sarebbe stato deflagrante. L’omosessualità del personaggio era il tema centrale, e avrebbe fatto discutere.

«Nei 10 anni successivi ci sono stati grandi mutamenti culturali. Il mondo LGBT oggi è sicuramente meno sommerso e più accettato. Tuttavia uno dei motivi principali per cui abbiamo ripreso la serie è che c’è una nuova generazione da rappresentare. Per alcune donne l’identità di genere è diventata più fluida, e anche il linguaggio che le definisce è cambiato. Volevamo raccontare queste nuove realtà».

Nel sequel Bette Porter entra in politica, e si candida per diventare sindaco di Los Angeles. «Oggi negli Usa ci sono diverse donne dichiaratamente lesbiche che fanno parte del Congresso, Lori Lightfoot di recente è diventata sindaco di Chicago. Tuttavia non mi sono ispirata a nessuna di loro. Ho guardato qualche video, per capire come affrontano le campagne elettorali e i discorsi pubblici, poi ho lavorato per tirare fuori qualcosa di originale». Lo show prevede ancora molte scene di sesso saffico, un argomento sul quale Beals è lapidaria: «Gli autori hanno sempre voluto dare un’immagine obiettiva e non apologetica del mondo LGBT. Uno dei temi della serie è certamente l’approccio sessuale, e non abbiamo mai avuto paura di mostrare due donne a letto insieme».

Oggi Jennifer Beals sta per compiere 60 anni (il prossimo 19 dicembre). Si è sposata due volte e ha una figlia diciottenne, Ella, avuta col secondo marito, l’imprenditore canadese Ken Dixon. Ha sempre sostenuto di preferire il cinema indipendente, e in Italia nel 1993 ha persino girato un cammeo nel film Caro diario di Nanni Moretti. «Purtroppo con Nanni ci siamo persi di vista» si rammarica. Si commuove invece quando ricorda l’amico Massimo Troisi, conosciuto a Cinecittà mentre entrambi lavoravano a un film, lei con Chabrol, lui con Scola. «Era un uomo coraggioso e pieno di vita, mi riesce difficile parlarne perché essendo un comico la gente lo considerava una persona divertente. Ma lui possedeva anche una parte profondissima, e molto saggia».

L’ultimo ricordo è per Flashdance, il film che all’improvviso la trasformò in un’icona. Quando lo girò era una sconosciuta di appena 19 anni, eppure era riuscita a strappare il ruolo alla futura star di Hollywood Demi Moore. «Ripenso sempre al regista Adrian Lyne, e a come era incredibilmente entusiasta, quando eravamo sul set. Mi piacerebbe molto fare un altro film con lui». Ride. «E poi al cane di Alex, il pitbull. Lo adoravo».  Il personaggio di Alex oggi può ancora essere considerato attuale? «Credo proprio di sì. Perché quello che resta è il suo messaggio alle donne: bisogna sempre seguire le proprie passioni».

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