Intervista Fabrizio Bentivoglio

Intervista Fabrizio Bentivoglio

«Monterossi? È refrattario ai social come me». Intervista a Fabrizio Bentivoglio

 

Fabrizio Bentivoglio sta per tornare in tv nella serie Prime Video Monterossi, che arriva in piattaforma per la seconda stagione venerdì 10 novembre.

Qui vi ripropongo una mia intervista.

«Da ragazzino avevo uno zio pensionato che si era messo a dirigere una filodrammatica al Teatro dell’Arte di Milano, e si divertiva a mettere in scena testi in vernacolo meneghino. Io andavoa curiosare dietro le quinte: probabilmente è lì che, senza me ne accorgessi, ha preso forma l’idea di diventare attore».  Fabrizio Bentivoglio in realtà era destinato alla professione di medico, come suo padre. E aveva sognato di fare il calciatore: «Giocai una stagione nelle giovanili dell’Inter, mi piaceva molto, ma dovetti rinunciare per un infortunio».

Invece finì in tutt’altra direzione. «Mi ero diligentemente iscritto a Medicina, frequentavo il primo anno e un pomeriggio stavo studiando Anatomia, quando mi capitò di ascoltare un’intervista alla radio: un neodiplomato, Luciano Mastellari, che in seguito ho conosciuto, decantava i pregi della Scuola di Teatro Paolo Grassi. Chiusi il libro e corsi a lì a prendermi il bando per l’ammissione, mettendo fine alla mia carriera di medico».

Sessantasei anni compiuti lo scorso gennaio, una quarantina dei quali passati sulle scene, Bentivoglio si diverte quando ricorda i suoi inizi. «Sono stato fortunato, lungo la strada ho incontrato diversi maestri. In teatro Giorgio Strehler, che mi diede un ruolo ne La Tempesta. E quando mi sono affacciato al cinema, Silvio Soldini e Gabriele Salvatores, coi quali è nato un rapporto che non si è mai interrotto. I personaggi che mi sono rimasti dentro? Sono affezionato a tutti, ma forse quelli esistiti realmente, come Giorgio Ambrosoli, nel film di Michele Placido Un eroe borghese, li ho sentiti più miei. Perché ho conosciuto le persone che li avevano amati».

 Con l’amico Salvatores, Bentivoglio ha girato l’ultimo film, Il ritorno di Casanova, ispirato al racconto del drammaturgo austriaco Arthur Schnitzler. E ora sbarca in tv nella serie Monterossi, tratta dal ciclo di romanzi di Alessandro Robecchi, in cui interpreta l’autore di un celebre show spazzatura che si improvvisa detective, Carlo Monterossi, per l’appunto. Un giorno gli sparano per uno sbaglio di persona, e lui si mette ad indagare con l’aiuto dei redattori che ha sottratto al programma, ritrovando l’entusiasmo che la sua carriera non gli procura più.  

«Monterossi è una “firma” di successo che sembra sputi nel piatto in cui mangia, ma in realtà è solo stanco del carosello trash che lo circonda. Perché magari il suo programma lo aveva immaginato come una sorta di Comizi d’amore di Pasolini, mentre invece è un rotocalco che sfrutta i sentimenti della gente, e a lui sembra una sorta di pornografia». Al “glamour” del mondo dello spettacolo preferisce una vita più defilata. «Un tratto caratteriale che abbiamo in comune. Io per esempio sono pochissimo social, mi tengo lontano dal bisogno di condivisione costante che sembra ossessionare chi fa spettacolo. Non lavoro a Hollywood, e come cantava De Andrè, mi sento ancora libero di remare in direzione ostinata e contraria». Il successo può diventare un fardello pesante? «Piuttosto una condanna a fare sempre meglio, e Monterossi mi assomiglia anche in questo. Probabilmente perché entrambi siamo arrivati a un’età in cui dirsi la verità è fondamentale».  

L’età è anche il punto nodale del film di Salvatores, in cui Bentivoglio ha raccontato un Giacomo Casanova ormai maturo, che subisce il rifiuto della fanciulla che vorrebbe sedurre.  «Una riflessione sullo scorrere del tempo, vista con gli occhi di un uomo che si ritrova in quella fase della vita in cui non è più giovane, ma non accetta di essere considerato un vecchio».

Per l’attore, uomo ancora molto ricercato dalle fan, anche uno spunto per qualche considerazione personale.

«Per quanto mi riguarda, l’invecchiare è un qualcosa che ho deciso di accogliere e accettare. E questa mia accettazione va continuamente rinnovata, perché le cose cambiano e quella rampa di scale che salivi due gradini alla volta senza stancarti, dovrai necessariamente rimisurarla». Senza troppi rimpianti. «Io un sex simbol? Per carità, quando ero più giovane era una cosa che mi procurava imbarazzo, oggi finalmente mi sono rilassato per conclamati limiti d’età. Del resto, non solo non possiedo più il physique du role, ma sono anche un uomo sposato e con famiglia». 

Con la moglie Silvia Pippia, collega di 18 anni più giovane conosciuta sul set del film L’amore ritorna, Bentivoglio ha 3 figli, Vera, 15 anni, Federico, 13 e Matteo, 10.

«Sono partito tardi. Vera è nata quando avevo già 50 anni, e fin lì nessuno avrebbe mai potuto sospettare che avrei messo al mondo un figlio, figuriamoci addirittura tre. La paternità poi ti fa maturare, ma io mi ritengo comunque un padre fallace. Perché un genitore è condannato a sbagliare, qualsiasi cosa faccia. E il tentativo è solo quello di ridurre gli sbagli al minimo indispensabile».  La famiglia, precisa l’attore, quando hai figli di quell’età diventa il centro della vita, anche se sei una star del cinema.  «I ragazzi seguiranno le mie orme? Non credo. Federico mi ha già spiegato che non gli interessa: papà, ci sono troppe cose da imparare a memoria».

 

 

 

 

 

0 Commenti

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*